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COSI’ FINISCE UNA STORIA D’AMORE E LA LETTERA DIVENTA UN OPERA D’ARTE

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La lettera è una qualunque lettera d’addio, se si può dire qualunque di un congedo. Breve, una paginetta. Accendi il computer un giorno e lei è lì. Sta tutta intera davanti a te nel primo foglio dello schermo. Premi il cursore per scendere, ne cerchi ancora ma non serve: è finita. Lui è garbato, formalmente ineccepibile, apparentemente addolorato. È colto, inoltre. Un uomo che sa usare le pause e gli a capo. Sa toccare le corde dell’altrui colpa sfiorandole appena, sa attribuirne un poco a sé come un difetto congenito, piccolo male non imputabile. Uno scrittore, forse. Di certo uno che lavora con le parole. Il repertorio è classico, si direbbe un’antologia. “Avrei preferito parlarti a voce, infine ti scrivo”. “Ho creduto che avrei potuto darti il bene” “che il tuo amore fosse benefico per me”. “Non ti ho mai mentito e non comincerò a farlo oggi”. “Mi dicesti che quando avremmo cessato di amarci non avremmo più potuto vederci: una regola che mi pare dolorosa e ingiusta. Tuttavia: non potrò diventare per te un amico”. Alcune specifiche di questa storia, poi l’inevitabile “ti ho amata nel mio modo e continuerò a farlo, non cesserò di portarti con me”. La chiusura, infine. “Avrei preferito che le cose andassero diversamente”. Le ultime quattro parole. “Abbi cura di te”.
“Take care of yourself, prenez soin de vous, cuidate mucho”. È qui, è sull’incongruenza emotiva di una frase che ha le sembianze di una premura – non si può respingere un invito così, eppure non si può accettare se allegato al dolore dell’addio – che Sophie Calle costruisce la sua opera d’arte. Il suo libro ha la copertina rosa, lucida come una carta di caramella. Se fosse tradotto in italiano (non lo è, per qualche misteriosa ragione non è tradotto nella nostra lingua nessuno dei suoi libri, nel resto del mondo oggetti di culto) s’intitolerebbe “Abbi cura di te”. Seduce fuori e tormenta dentro. Fa ridere e fa piangere, ammala e guarisce. Non si può lasciare senza averlo attraversato fino in fondo. Ci sono tutte le domande, tutte le risposte: c’è soprattutto un’ironia formidabile, una malinconica saggia ironia venata di amarezza, la medicina di ogni male.
Calle è un’artista tra le più amate del nostro tempo. Un’icona della modernità, una Louise Bourgeois del nuovo secolo. Il Centre Pompidou le ha dedicato per i suoi cinquant’anni una retrospettiva. La Francia le ha affidato il padiglione di quest’ultima Biennale di Venezia: lei lo ha dedicato a raccontare come finisce un amore. Ha proiettato i video ( guarda lo speciale interattivo ) di molte delle 107 donne che leggono la mail di addio del suo amante: celebri e sconosciute, Jeanne Moreau e una studentessa di scuola media, Luciana Littizzetto e una cartomante, Victoria Abril e una stella dell’Opera. Un avvocato, una psicanalista, Laurie Anderson, una scrittrice di parole crociate, una campionessa di tiro con la carabina, una esegeta di talmud, Maria de Medeiros, la figlia “segreta” di Mitterand, una giocatrice di scacchi. A ciascuna ha chiesto cosa significa abbi cura di te, come si fa ad averne, come si affronta e come si supera il vuoto spaventoso dell’assenza? Ciascuna ha risposto nel suo modo: con un referto, con una canzone, con un gioco. La mostra, a Venezia – “Take care of yourself” – è stata visitata da migliaia di persone, è ancora lì fino a fine novembre. Il tam tam sotterraneo (dei visitatori, delle visitatrici) ne ha fatto una meta di pellegrinaggio. Di seguito è venuto il libro, ormai introvabile. Più di quello del 1981, L’Hotel: Calle si fece assumere a Venezia come cameriera in un albergo, fotografò le stanze appena lasciate dai clienti, i letti sfatti i loro oggetti abbandonati. Più di The adress book, 1983: trovò un’agenda per strada, chiamò tutti i numeri chiedendo a chi rispondeva di parlarle del proprietario, pubblicò tutti i giorni su “Liberation” i resoconti delle interviste infine un volume col ritratto collettivo di un uomo mai visto. Più ancora di “Double game” scritto a quattro mani con Paul Auster: lui si ispira a lei per il personaggio di Maria nel romanzo Leviathan, lei si immedesima in Maria e ne veste i panni.
Torniamo all’amore, però. Alla lettera. Al libro e al cammino che si attraversa per prendersi cura di sé. In principio la ragione: che il testo passi all’esame dell’intelletto, i freddi strumenti del raziocinio. La e-mail è tradotta in codice morse, in linguaggio esadecimale, in braille, in stenografico e in codice a barre. In trascrizione fonetica, in sms. Poi l’analisi del testo come fosse un canto della “Divina Commedia”. Aspetto tipografico, paratesto, genere, enunciato, vocabolario, analisi logica e grammaticale. Lunghezza (con istogrammi in blu) delle ventidue frasi. Evidenza delle forme verbali: quanti gerundi, quanti imperativi, quanti condizionali. Frequenza del soggetto: io il triplo di tu. Riferimenti letterari. I Fratelli Karamazov, Resurrezione, La Repubblica di Platone. Per “abbi cura di te” senz’altro Emma di Jane Austen.
Ora che è stata sezionata come un corpo sul tavolo dell’anatomo patologo rivediamola da viva, questa lettera. Passi pure l’esame degli altri: le altre donne. Nelle mani di una cartoonist diventa una striscia comica, la giornalista di agenzia ne fa un lancio, il giudice una sentenza. La sessuologa risponde con una ricetta su carta intestata dell’ospedale: “No, non posso prescriverle antidepressivi. Lei è solo triste. Un evento doloroso fa male ma la soluzione non può essere chimica”. La psicanalista si sofferma sulla “brutalità della vacuità della frase omicida finale”: un “banale take care al posto di un addio. Come dire abbi cura di te stessa perché non sarò io a farlo”. L’avvocato suggerisce due anni di carcere e trentasettemila euro di ammenda per il soggetto, colpevole di truffa e contraffazione. Florence Aubenas (giornalista lungamente sequestrata in Iraq) le scrive che la sua lettera non sarà pubblicata: troppo personale. La criminologa analizza il soggetto mittente: “Un uomo intelligente, colto, di buon livello socioculturale, elegante, seducente, orgoglioso narcisista ed egoista”. “Psicologicamente pericoloso o/e grande scrittore”. L’esegeta di talmud affronta sul testo una disputa rabbinica. Ne ragionano una filosofa, un’antropologa, un’esperta di diritti delle donne all’Onu, una docente di fisica. Marie Dasplechine, scrittrice, ne fa una novella per bambini. La maestra elementare in bella calligrafia la propone come compito agli alunni con cinque consegne: “Dai un titolo a questo racconto, chi è il protagonista? qual è il problema? In che modo il protagonista lo risolve? Trova un altro finale alla storia”. Ambra, nove anni e mezzo, lo svolge: “Sembra che lui l’ami. Se l’ama non capisco perché la lascia. È una storia triste”. La paroliera la trasforma nel testo di una canzone, la compositrice classica in un brano per pianoforte. L’esperta di bon ton la boccia categoricamente e propone un nuovo testo: sette righe scritte con penna stilografica su carta velina, impeccabili per assenza di vanità. La cartomante fa i tarocchi: l’eremita, il matto, l’imperatrice, la luna, l’impiccato. Un’agente dei servizi segreti la critta usando la parola chiave “rottura”.
La redattrice di parole crociate ne fa un fenomenale cruciverba: memorabili le definizioni di “benefico”, “irrimediabile”, “amante”. Per centinaia di pagine si avvicendano l’esperta di letteratura comparata e la sociologa (ne fa un saggio: “L’esacerbarsi dell’amore eterosessuale in Occidente”), la storica e la giocatrice di scacchi (“Il re nero perde: analisi della partita”). La latinista traduce: “Ego quidem voluissem res alio vertere. Cura ut valeas”. Dunque in latino la frase omicida si dice così: cura ut valeas. L’architetto di interni ne fa mille copie da distribuire agli ospiti in visita, le impila in un contenitore, la contabile la trasforma in un bilancio economico del dare e dell’avere in amore. La maestra di ikebana due composizioni floreali, la madre una lettera alla figlia: “Amore mio, si lascia e si è lasciati, è questo il nome del gioco. Sono sicura che anche questo sarà per te fonte d’ispirazione artistica. Mi sbaglio?”.
Già arrivati fin qui, a due terzi del libro, va meglio. Si è molto riso, si è molto ascoltato il rumore del mondo. Ecco dunque il momento di sedersi a godere lo spettacolo. Dei quattro cd rom allegati (la seduta dal consulente familiare, la conversazione con la speaker della radio, il film realizzato dalla regista Letitia Masson) l’ultimo contiene le immagini di chi ha risposto con la voce e coi gesti. Una clown. Una stella della danza all’Opera di Parigi. Jeanne Moreau che legge nella penombra di una stanza, commenta con voce roca, si ferma, riprende, si emoziona. La tiratrice di carabina che del foglio con la mail fa un bersaglio, prende la mira e spara. Luciana Littizzetto che la legge nella cucina di casa sua, a Torino, mentre affetta una cipolla: sarcasmo e lacrime. Victoria Abril ancora nel letto di “Legami” che dalle lenzuola sfatte rimprovera Sophie: “Gli hai dato troppe condizioni, gli hai detto che dopo la fine dell’amore non avresti voluto vederlo più, gli hai chiesto di non essere l’altra, la quarta delle sue donne. Ma, Sophie, in amore non si dettano regole. Hai sbagliato”. Un’attrice giapponese con la maschera di gesso, una ballerina indiana che danza, una cantante di tango. Un pupo di cartapesta (femmina), una rapper. Un’interprete di fado portoghese, una soprano lirica, una cantautrice berlinese. Alla fine resta Brenda, maestoso pappagallo bianco con cresta dorata (femmina): col becco fa a pezzi la lettera, la assaggia, ne mangia un po’, non gli piace, la butta. Chiude l’autrice: una frase in caratteri minuscoli, ultima pagina. “Questo è tutto riguardo alla lettera. Non riguardo all’uomo che l’ha scritta…”. Il libro, naturalmente, è dedicato a lui. ( 11 novembre 2007 )
di CONCITA DE GREGORIO ( fonte http://www.repubblica.it)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

LA FINE DI UN AMORE AI TEMPI DI FACEBOOK

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Come è difficile liberarsi di una storia ai tempi di Facebook. Non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto a livello psicologico, tutto è complicato dal famoso social network. E’ quanto dimostra una ricerca dell’University of California di Santa Cruz coordinata da Steve Whittaker e Corina Sas che hanno analizzato un piccolo ma significativo campione di persone tra i 19 e i 34 anni, attive su Facebook.

Una volta si cancellava il numero, si provava a frequentare posti e persone diverse e il tempo faceva tutto il resto. La fine di una storia, per quanto dolorosa e difficile, rimaneva una questione piuttosto privata. Con Facebook, è diverso. Durante la relazione si postano foto, video, commenti in bacheca che vengono letti e condivi da altri amici. E’ come se un grande diario della nostra vita si componesse nel mondo digitale.

A quel profilo, così com’è, noi leghiamo la nostra identità, e, secondo la ricerca, qualcosa di più: la nostra identità condivisa. Così, finita una storia, le tracce del nostro ex dovrebbero, a questo punto, sparire. E quindi tocca premere il famoso delete e togliere tutto. Ma si ha davvero il coraggio di farlo? No, tanti infatti non lo fanno, proprio perché questa memoria condivisa è troppo importante per lasciare spazio a un profilo scarno, non ‘riempito’ dall’amore. Così, anche se abbiamo deciso noi di troncare la storia, viene difficile cambiare anche la situazione sentimentale da impegnato/a a single.

Inoltre, chi cancella poi si pente. Infatti la ricerca dimostra che chi ha bloccato l’accesso ai contenuti del suo profilo Facebook all’ex e vicerversa, ci è rimasto molto male e dopo un po’ ha modificato queste impostazioni. Sì perché, anche se la storia è finita e si pensa di non avere più nulla da dire all’ex, in realtà, la curiosità morbosa, c’è sempre. Spiare quello che fa l’ex, guardare le foto che posta, capire con chi dialoga e dove và.

 

Gli autori della ricerca sono molto critici nei confronti dei cuori infranti. Secondo loro, mantenere questo livello voyeuristico non fa bene né a loro né agli ex. Piuttosto si dovrebbe, magari gradualmente, allontanarsi anche digitalmente dall’ex e poi definitivamente. E’ importante insomma segnare la parola fine anche da utente di Facebook, anche davanti a tutti gli amici. Un modo vero per terminare la storia, in un mondo come quello di Facebook che, a volte, di vero sembra abbia davvero poco.

fonte http://www.wellme.it/psicologia/vita-di-coppia/6398-facebook-ex-fidanzati

 

Dott. Roberto Cavaliere

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