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COME CI “RAGGIUNGONO” I NOSTRI AFFETTI DEFUNTI

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I nostri cari defunti ci “raggiungono” con più facilità, se qui sulla terra possono trovare pensieri, sentimenti e sensazioni, rivolti a loro. L’amore, la simpatia costante che conserviamo verso i defunti stabiliscono questo collegamento.

I defunti si chiamano con un moto di affetto. E’ questo che crea il contatto. E’ questo che loro sentono. Bisogna ricordarli in situazioni che abbiamo vissuto insieme, anche le più semplici, non importa se recenti o remote (ad esempio mentre parlava o si lavorava insieme). In altre parole si dovrebbero immaginare delle scene reali.

Quando una o più persone defunte ci vengono improvvisamente in mente, mentre stiamo svolgendo le nostre attività consuete, dobbiamo arguire che sono loro che stanno chiedendo la nostra attenzione. A quel punto è doveroso per noi dedicare loro qualche minuto del nostro tempo, così come faremmo per un appuntamento telefonico: qualche minuto speso per uno “scambio” di idee. Si tratta infatti di uno scambio e non di un discorso unilaterale: uno scambio che risulterà benefico per entrambi.

Questo tipo di attività dovrebbe essere ordinata e programmata con metodo ed esercizio. Essere fedeli e puntuali indica correttezza da parte nostra nei loro confronti, anche se ciò può comportare qualche piccolo sacrificio. Noi abbiamo bisogno di loro quanto loro di noi.

Rudolf Steiner

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

SEPARARSI FA MALE ALLA SALUTE

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Separarsi è un trauma che non si dimentica facilmente. La ferita non lascia solo segni a livello psicologico ma porta a malattie croniche. Per una salute di ferro ci vuole un matrimonio per tutta la vita.
Lo rivela uno studio dell’Università di Chicago: la separazione e la vedovanza fanno proprio male. Oltre al dolore e all’elaborazione del lutto necessari dopo la perdita del coniuge sia per decesso che per separazione o divorzio, c’è anche un danno al fisico. Da sempre le ricerche hanno evidenziato che le persone sposate tendono ad avere una salute migliore di chi è solo. I ricercatori hanno riscontrato che le coppie sposate da molti anni godono di un miglior stato di salute e benessere rispetto ai coetanei che non erano mai stati sposati: meno sintomi di depressione e più autonomia rispetto ai single. Ma se essere sposati è una vera medicina contro le malattie non altrettanto rosea è la situazione dei divorziati e separati: sono più cagionevoli e soffrono di malattie croniche come cancro e problemi cardiaci mediamente il 20% in più rispetto a quanti non si sono mai sposati. Insomma meglio soli e single che divorziati.Unica consolazione per la schiera di chi si ritrova vedova o si è appena separata dal coniuge è risposarsi. Magra consolazione comunque. Perché la ricerca mostra infatti che il nuovo matrimonio riduce solo di poco l’insorgere o la gravità di queste malattie. Passare dunque da un marito all’altro non basta se ci si compara con quelli che sono single o sono legati da una saldo matrimonio .Ma la salute di ferro ce l’ha solo chi rimane sposato una vita con lo stesso coniuge. “La rottura del matrimonio, che sia tramite la morte del coniuge o il divorzio – spiega la ricercatrice Linda J. Waite, professoressa di sociologia alla University of Chicago – è uno degli eventi più stressanti della vita ed esige un alto prezzo sulla salute fisica e mentale”. E prosegue: “La salute è come denaro messo in banca. Restare nello stesso matrimonio tutta la vita vuol dire continuare ad accumulare risparmi, ovvero salute. Divorziare vuol dire spendersi tutto”. Attenzione però, per avere effetti benefici sulla salute il matrimonio deve essere felice. “Chi vive in un matrimonio infelice ha gli stessi problemi di salute di chi è solo: depressione, pressione alta, patologie cardiache”. Chi insegue il sogno della salute a tutti costi, si sposi pure. Purché scelga bene il partner.
Libero News

UNA COPPIA SPOSATA SU TRE SI SEPARA

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Si rassegnino i romantici: la formula del «finché morte non vi separi» sembra non funzionare più e ogni tre matrimoni celebrati uno finisce con una separazione. A dirlo sono i dati più aggiornati a disposizione (quelli del ministero della Giustizia, relativi al primo semestre 2009): quasi 300 coppie sposate ogni mille chiedono la separazione, soprattutto consensuale. E a questa media bisogna aggiungere i 234 divorzi richiesti nel frattempo. Ma qui la crisi era iniziata già da un pezzo.I dati sulle separazioni presentano forti differenze se si scorre la cartina dell’Italia. Nel Centro-Nord ci si separa di più che al Sud; la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi è il Piemonte (associato alla Valle d’Aosta nella rilevazione) con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni).
Sociologi ed esperti si interrogano sulle cause. La ragione principale è il mutamento della società: «L’idea della separazione è entrata a far parte del senso comune collettivo», spiega Grazia Cesaro dell’Unione nazionale camere minorili. Anche l’emancipazione femminile ha aiutato il processo. «Le donne non hanno più paura di separarsi – aggiunge Bruno Schettini, docente alla Seconda università di Napoli –, hanno più indipendenza economica e meno timore di affrontare la vita senza un compagno».
Secondo Marco Albertini, ricercatore in sociologia dei processi culturali presso l’università di Bologna, il trend delle separazioni è dovuto anche al fatto che «in Italia le coppie hanno iniziato a separarsi più tardi rispetto al resto d’Europa. Ci si sposa ancora molto, mentre nel Nord-Europa si preferisce la convivenza».Mettere fine a un matrimonio, però, non è mai facile. Ci vogliono quattro anni per divorziare, se i coniugi sono d’accordo, che diventano sette se l’intesa non c’è e il percorso diventa giudiziale. Senza considerare i costi di una separazione che, secondo Grazia Cesaro, «porta sempre a un impoverimento, dalla necessità di un’altra casa all’assegno di mantenimento».Quando la coppia scoppia, la cosa più importante è la tutela dei figli, soprattutto se minori. «Chi si separa dovrebbe per prima cosa tenere conto del bene della prole – dice Laura Laera, presidente dell’Associazione dei giudici della famiglia e minorili (Aimmf) –. Bisognerebbe lavorare per sviluppare una cultura della conciliazione contro quella del conflitto, e le istituzioni dovrebbero farsene carico, anche attraverso strutture di tipo sociale». Per questo, molti pensano che il futuro delle separazioni passi per i centri di mediazione familiare perché, secondo Valeria Riccio, consulente tecnico del Tribunale di Napoli, «il sistema giudiziario da solo non è in grado di affrontare la coppia e la famiglia disfunzionale. Servono centri per le famiglie in difficoltà che abbiano funzioni terapeutiche e di sostegno».

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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